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  • L'INTERVIEW CENSUREE DE CHUCK : D'OMEGA MAN A SOYLENT GREEN - Partie 4

    Nous voici presque arrivés à la fin de cette interview exceptionnelle. Dans quelques jours je publierai la cinquième et dernière partie.

    Dans cette quatrième partie, nous découvrons un Chuck nous parlant de sa crainte de "l'effet de serre" dans le futur.... et c'était en 1972.  Chuck visionnaire ?

     

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    (Keith Howes)

    QUARTA PARTE : "...secondo me"

     

    << Parliamo di fantascienza e di “Omega Man”. E’ stata una grande delusione. Credo sia il desiderio di ogni uomo di essere l’ultimo essere vivente sulla terra. Personalmente mi chiedevo se in me stesso avrei trovato abbastanza risorse per essere davvero l’ultimo uomo sulla terra. Per questo la storia mi interessava. Come il personaggio di Robinson Crusoe, anche lui unico essere vivente Il caso (di Omega Man) poneva a me delle domande artistiche e tecniche su come interpretare un personaggio simile.

    Il parlare a se stesso  richiede delle formule recitative particolari. Frasi spezzate, parole isolate, a volte veri e propri nonsense. Difficile davvero parlare a se stessi, difficile usare questa modalità verbale per trasmettere un messaggio ad interlocutori inesistenti.  Risolvere questo problema era davvero interessante. Come avrei potuto risolvere il problema di interpretare  quel personaggio, facendo uso delle sue sole capacità mentali, che gioca a scacchi con un busto di Cesare e nella sua casa vive come in una fortezza piena di capolavori artistici, ovviamente sottratti ai musei della città. Ricostruendo le memorie del passato vedendo e rivedendo l’unico film in programmazione “Woodstock” nell’unico cinema attivo.

    E’ la parte più singolare del film, i primo terzo dell’intera pellicola. Poi arriva il necessario antagonista, la “famiglia di Mathias”. Per questi oscuri personaggi io avevo immaginato una dimensione quasi onirica, come  forme che si muovono nel buio del dormiveglia, percepibili appunto nei limiti tra sogno e veglia. Invece nel film sono diventati personaggi quasi del tutto reali, ben delineati e del tutto percepibili allo spettatore, con un loro trucco e una luce che ne delinea i volti. Una inversione del genere è comune nel mondo cinematografico, in quella specialissima arte di cui l’artista non ha il possesso dei mezzi. Se un pittore cerca di vendere un suo quadro e l’acquirente gli richiede di modificarlo, magari aggiungendo un altro personaggio o un suo ritratto, il pittore può assecondare la richiesta , come facevano i pittori rinascimentali, distruggere la parte figurativa con una mano di bianco sulla tela o semplicemente cambiare idea e tenersi il quadro….

    ( Giornalista- Eppure il film che sta girando ora propone una verità che sembra modificata , cambiando il finale proposto nel romanzo )

    … no, si rimane nel senso generale di questo mondo sovrappopolato, il finale rimane collegato al senso del film abbiamo discusso per ore se in una società come questa una forma di governo deve o non deve esistere. Abbiamo rinunciato a inserire una qualche forma di governo o di potere in generale, per non entrare nella solita rappresentazione di uno stato fascista che si impone sul popolo. In realtà il potere centrale è già lentamente scivolato nell’anarchia. In un mondo così fittamente abitato il potere in senso lato non riesce a raggiungere i cittadini forse lo può in parte solo il potere locale, il governatore di uno stato, il sindaco di una città. C’è un’allusione appunto al senso di anarchia quando il mio superiore cita il numero di omicidi avvenuti in città nei due giorni di indagine che mi ha concesso e per i quali non si è dato il via nemmeno ad un tentativo di indagine.

    In un certo modo questo mondo è simile a quanto si poteva osservare negli ultimi anni dell’Impero Romano. Roma non è caduta per le tante invasioni, quanto per l’enorme estensione  che lo rende ingovernabile. Ho letto traduzioni di lettere scambiate tra le autorità romane e i  Romano-Britannici. Entrambi si lamentano del caos burocratico.

    Ad un certo punto abbiamo anche pensato di addossare la colpa di tutto al mondo degli affari o alla Mafia.. ma un responsabile non esiste. Tutto si trascina avanti senza porsi domande ma semplicemente per inerzia.

    (- Un giornalista pone il caso di seguire in tutto il romanzo, senza inserirvi anche la traccia di un thriller.)

    … la trama del romanzo è meravigliosa. C’è anche per sottolineare il sovrappopolamento il caso di alcune navi vecchie e arrugginite, ancorate al porto e ospitanti una densissima colonia di cinesi fuggiti da Hong Kong. All’inizio il governo si era occupato di loro, poi i soldi sono finiti e il personaggio del “fuggitivo”, di chi si vuole allontanare da quell’inferno come Taylor in Planet of the Apes è appunto uno di questi cinesi.

    Ma portare tutto questo sullo schermo è risultato Impossibile. Per risolvere questo problema abbiamo creato  angoli di una megalopoli di 40 milioni di abitanti che mostrano l’accalcarsi di esseri umani in ogni spazio disponibile. Più volte salgo e scendo i gradini di una scalinata, dunque proprietà privata, di un palazzo in cima alla quale una guardia armata provvede a difendere il misero immobile dalla folla. Lì abitano coloro che vivono del misero privilegio di lavorare per difendere la proprietà pubblica. La gente in effetti vive dovunque trovi un po’ di spazio, sulle scale, nelle strade, persino nelle vecchie macchine abbandonate sul ciglio della strada, adattandole ad una sorta di casa con fornelletti che sputano fumo da tubi adattati al corpo dell’auto in funzione di miseri caminetti. E’ evidente anche il calore infernale che avvolge la città. Gli abitanti sono costretti a vivere in una sorta di serra, appunto l’effetto serra creato dall’accumulo di calore e inquinamento. E speriamo proprio di non andare incontro a questo effetto serra nel nostro futuro >>.

     

     

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    ... SUITE ... 

    "Parlons de science-fiction et " Omega Man - 1971 ". C'était une grosse déception. Je crois que c'est le souhait de chaque homme d'être le dernier être vivant sur terre. Personnellement, je me demandais si j'aurais trouvé assez de ressources pour être vraiment le dernier homme sur terre. C'est pourquoi l'histoire m'intéressait. Comme le personnage de Robinson Crusoé, il était aussi le seul être vivant, le cas (d'Omega Man) me posait des questions artistiques et techniques sur la façon d'interpréter un tel personnage.

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    (Robert Neville dans Omega Man)


    Parler à soi-même nécessite des formules récitatives spéciales. Des phrases brisées, des mots isolés, parfois de vraies absurdités. Il est difficile de vraiment se parler, il est difficile d'utiliser ce mode verbal pour envoyer un message à des interlocuteurs inexistants. Résoudre ce problème était vraiment intéressant. Comment pouvais-je résoudre le problème de l'interprétation de ce personnage, en utilisant ses seules capacités mentales, jouer aux échecs avec un buste de César et vivre dans sa maison comme une forteresse pleine de chefs-d'œuvre artistiques, évidemment pris dans les musées de la ville. Reconstituer les souvenirs du passé en voyant et en passant en revue le seul film de programmation «Woodstock» dans la seule salle de cinéma en activité.

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    C'est la partie la plus singulière du film, le premier tiers du film entier. Puis vient l'antagonisme nécessaire, la «famille Mathias». Pour ces personnages obscurs j'avais imaginé une dimension presque onirique, comme des formes qui bougent dans l'obscurité du sommeil, qui peuvent être perçues précisément dans les limites du rêve et de l'éveil. Au lieu de cela, dans le film, ils sont devenus des personnages presque complètement réalistes, bien délimités et perceptibles pour le spectateur, avec leur maquillage et une lumière qui souligne leurs visages. Une inversion du genre est courante dans le monde cinématographique, dans cet art très particulier que l'artiste n'a pas les moyens de posséder. Si un peintre essaie de vendre son tableau et que l'acheteur lui demande de le modifier, en ajoutant peut-être un autre personnage ou un portrait, le peintre peut soutenir la demande, tout comme les peintres de la Renaissance, détruire la partie figurative avec un peu de blanc sur la toile ou simplement changer d'avis et garder l'image ....

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    Le journaliste -  "Pourtant le film en cours de tournage (SOYLENT GREEN - 1972) propose une vérité qui semble être modifiée, changeant la fin proposée dans le roman "


    ... non, vous restez dans le sens général de ce monde surpeuplé, la fin reste liée au sens du film dont nous avons discuté pendant des heures : est-ce que dans une société comme celle-ci, une forme de gouvernement doit ou non exister. Nous avons abandonné une certaine forme de gouvernement ou de pouvoir en général, pour ne pas entrer dans la représentation habituelle d'un état fasciste qui serait imposé au peuple. En fait, le pouvoir central a lentement glissé dans l'anarchie. Dans un monde aussi densément peuplé, le pouvoir au sens large, ne peut atteindre les citoyens, peut-être ne peut-il être que partiellement le pouvoir local, le gouverneur d'un État, le maire d'une ville. Il y a une allusion au sentiment d'anarchie quand mon supérieur cite le nombre de meurtres dans la ville pendant les deux jours d'enquête qu'il m'a donnés et pour lesquels aucune tentative n'a été faite pour enquêter.


    D'une certaine manière, ce monde est semblable à ce qui aurait pu être observé dans les dernières années de l'Empire romain. Rome n'est pas tombée par tant d'invasions, mais pour l'énorme ampleur qui la rend ingouvernable. J'ai lu des traductions de lettres échangées entre les autorités romaines et les Britanniques romains. Ils se plaignent tous deux du chaos bureaucratique.


    À un moment donné, nous avons même pensé  laisser tout le monde aller dans le milieu des affaires ou dans la mafia, mais un manager n'existe pas. Tout le monde traîne sans poser de questions tout simplement par inertie.


    (- Un journaliste en profite pour suivre tout le roman, sans  inclure la piste d'un thriller.)


    ... l'intrigue du roman est magnifique. Il y a aussi, pour souligner la surpopulation, le cas de quelques vieux navires rouillés, ancrés au port et hébergeant une très grande colonie de Chinois fuyant Hong Kong. Au début, le gouvernement était occupé avec eux, puis il n'y a plus eu d'argent  et le personnage du «fugitif», qui veut s'éloigner de cet enfer comme Taylor dans Planet of the Apes est juste un de ces Chinois.


    Mais amener tout cela à l'écran était impossible. Pour résoudre ce problème, nous avons créé des quartiers d'une mégalopole de 40 millions d'habitants qui montrent la ruée des humains dans n'importe quel espace disponible. Plusieurs fois je monte et descends les marches d'un escalier, propriété privée d'un immeuble au-dessus duquel un garde armé défend le mouvement immobile de la foule. Il y a ceux qui vivent du misérable privilège de travailler pour défendre la propriété publique. Les gens vivent réellement partout où vous trouvez de l'espace, dans les escaliers, dans les rues, même dans les vieilles voitures abandonnées sur le bord de la route, en les transformant  en une sorte de maisons avec des poêles qui crachent la fumée des tubes adaptés au corps de la voiture,  à cause des cheminées misérables. Il est également évident que la chaleur  qui entoure la ville, est infernale. Les habitants sont contraints de vivre dans une sorte de serre, précisément l'effet de serre créé par l'accumulation de chaleur et de pollution.

    Et nous espérons juste ne pas aller à cet effet de serre dans notre avenir >>.

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    A SUIVRE ...

  • L'INTERVIEW CENSUREE DE CHUCK : "LES HAUTS ET LES BAS : au cinéma et dans la vie" - troisième partie

    La traduction et la publication en plusieurs parties de cette interview de Chuck par deux journalistes en 1972, est du pain béni au moment où nous découvrons les "critiques acerbes" du journaliste Graham Daseler qui n'a pas la dent assez dure pour définir Charlton Heston. 

    Dans cette partie, nous découvrons la sensibilité et la lucidité de notre grand homme. Nous sommes loin du "bloc de marbre de Carrare" auquel Daseler le compare. 

    Chère Maria, merci pour le bon travail que tu partages avec nous. 

     

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     TERZA PARTE "Alti e bassi: nel cinema e nella vita"

    (Uno dei due giornalisti interviene sottolineando come a partire dalla fine degli anni Sessanta i personaggi interpretati dall’attore siano apparsi sempre più freddi e delusi)

    « Sì, è vero. Considerando ad esempio “Planet of the Apes” il protagonista sembra odiare sé stesso ed è tanto deluso dell’umanità da desiderare di fuggirla abbandonando i suoi contemporanei mostrando per loro e per sé un profondo disprezzo. Al contrario si trova ad essere su un pianeta sconosciuto l’unico esemplare che può difendere il primato della razza umana,  un’ironia che sembra essere sfuggita a molti degli spettatori, coinvolti dalla stranezza di un mondo abitato da scimmie.

    Così anche in questo film che sto realizzando il poliziotto Thorn,(nome scelto da me) è come ho detto un uomo alienato nel mondo in cui si trova a vivere, ma non è l’unico, lo sono tutti. Nell’evolversi della vicenda entra il desiderio profondo della ricerca della redenzione. Lui, come ho detto, si trova in una situazione privilegiata  e la presenza di Edward G. Robinson lo porta ad esprimere finalmente un senso di partecipazione. Riesce a dire “ Ti amo” sia a Sol, oramai morente, che per un'unica volta alla ragazza-aredamento lasciando l’appartamento, dopo aver più volte condiviso il suo letto . Spero quindi che si intraveda l’ intero ordito del film . Altrettanto si potrebbe dire di “The Naked Jungle” e di “Pro”. In quest’ultimo caso il mio personaggio è un uomo disperato, incapace di vincere la sua disperazione e  assumere un atteggiamento più positivo.

    Non credo di essere un uomo freddo, piuttosto forse molto riservato. Certo ho provato a tenere a distanza molte persone, per quanto è possibile. Il che deriva dall’essere stato per più di venti anni una figura pubblica, che ha cercato di salvare per quanto ha potuto la sua vita privata, pur essendo cosciente che un personaggio pubblico ha in qualche modo il dovere di condividere parte della sua esistenza con gli altri. Ciò mi ha imposto la creazione di una situazione in cui l’uomo privato deve saper conservare la sua privacy in una condizione di pubblica esistenza. E si guarda alla propria privacy non come ad un diritto naturale, come per ogni altro uomo, ma come qualcosa che devo disperatamente preservare. Trovare il mezzo per ripristinare la tua vita privata , cosa che deve essere ricercata e difesa. Ma questo costringe a mantenere una certa distanza dagli altri. A volte si prova come una forma di stanchezza  nel vivere dei rapporti occasionali con chi mi circonda. Ma come ho detto io rimango una persona pubblica e questo da agli altri il diritto di consumare me stesso appunto come una persona pubblica in tutte le occasioni quotidiane: al ristorante,  per strada, a un semaforo o al cinema.

    Ho spiegato ai miei figli che il loro padre non ha potuto e non potrà accompagnarli ad esempio a Disneyland, come fanno gli altri padri. Però loro hanno goduto di altri privilegi, come conoscere paesi stranieri e lingue straniere e magari vedere il loro padre conquistare la città di Valencia. E loro lo hanno capito. E’ la condizione della mia vita. E comunque sanno che la gente “consuma” la mia persona al di là delle mie performances. Insomma la mia vita è quella di una persona pubblica e non c’è altro da fare. Questo avviene ovunque io mi trovi.

    E’ in effetti una cosa ridicola sentir parlare dei diritti individuali in questo momento, pensare che ognuno è libero di fare quello che gli pare o, come dire, libero di “cantare la propria canzone”. Nel mondo in cui viviamo c’è sempre meno spazio per seguire la propria strada e fare quello che davvero desidera fare....

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    (Charlton Heston restaurant ALFREDO de Rome ) photo envoyée par Maria.

    SUITE

    (L'un des deux journalistes intervient, soulignant qu'à la fin des années 1960 les personnages joués par l'acteur sont devenus de plus en plus froids et déçus)

    ... «Oui, c'est vrai. Considérant, par exemple, " La Planète des singes", le protagoniste semble se détester et est tellement déçu par l'humanité qu'il veut lui échapper en abandonnant ses contemporains, leur montrant un profond mépris pour eux. Au contraire, il est sur une planète inconnue,  le seul exemplaire qui puisse défendre la primauté de l'espèce humaine, une ironie qui semble avoir échappé à beaucoup de spectateurs, impliqués dans l'étrangeté d'un monde peuplé de singes. Donc, même dans ce film (NDT : Soylent Green), je fais le flic Thorn, (le nom que j'ai choisi), c'est comme si je disais qu'il est un homme aliéné dans le monde où il vit, mais il n'est pas le seul, c'est tout. Dans l'évolution de l'histoire vient le désir profond de rédemption. Comme je l'ai dit, il est dans une situation privilégiée et la présence d'Edward G. Robinson l'amène à exprimer enfin un sentiment de participation. Il est capable de dire "je t'aime" à Sol mourant, et une  seule fois au jardin des filles en quittant l'appartement après avoir partagé son lit plusieurs fois. J'espère que vous voyez toute la trame du film. De même, vous pourriez le dire pour  "The Naked Jungle" et "Pro". Dans ce dernier cas, mon personnage est un homme désespéré, incapable de surmonter son désespoir et d'adopter une attitude plus positive.

    NDT : je rappelle que Chuck tourne SOYLENT GREEN durant cette interview

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    (Thorn dans SOYLENT GREEN)

    Je ne pense pas que je sois un homme froid, peut-être plutôt très réservé. Bien sûr, j'ai essayé de garder beaucoup de personnes à distance, autant que possible. Cela est dû au fait d'être un personnage public depuis plus de vingt ans, qui a essayé de sauver autant que possible sa vie privée, bien qu'il soit conscient qu'un personnage public a en quelque sorte le devoir de partager une partie de sa vie avec les autres. 

    Cela m'a conduit à créer une situation dans laquelle un homme privé doit être capable de conserver son intimité dans un état de vie publique. Et vous ne considérez pas votre vie privée comme un droit naturel, comme n'importe quel autre homme, mais comme quelque chose que j'ai désespérément besoin de préserver. Trouver les moyens de préserver votre vie privée, c'est ce qui doit être recherché et défendu. Mais cela vous force à rester à distance des autres. Parfois, cela se révèle être une forme de fatigue à vivre des relations occasionnelles avec ceux qui m'entourent. Mais comme je l'ai dit, je reste une personne publique et cela donne à d'autres le droit de me "consommer" comme une personne publique en toutes occasions : au restaurant, dans la rue, au feu rouge ou au cinéma.

    J'ai expliqué à mes enfants que leur père n'a pas pu ou ne pouvait pas les accompagner, par exemple, à Disneyland, comme les autres pères. Mais ils ont bénéficié d'autres privilèges, tels que la connaissance des pays étrangers et des langues étrangères et peut-être voir leur père conquérir la ville de Valence. Et ils l'ont compris. C'est la condition de ma vie. Et ils savent que les gens "consomment" ma personne au-delà de mes performances. Bref, ma vie est celle d'une personne publique et il n'y a rien d'autre à faire. C'est là que je me trouve.

    C'est en fait une chose ridicule d'entendre parler des droits individuels en ce moment, de penser que tout le monde est libre de faire ce qu'il veut ou, disons, de "chanter sa propre chanson". Dans le monde où nous vivons, il y a de moins en moins d'espace pour suivre votre propre chemin et faire ce que vous voulez vraiment faire...

     

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    A SUIVRE...

  • UN HOMME POUR UNE SAISON...vous ne serez pas au bout de vos surprises !

    Publié le 27 octobre 2017
    MAJ le 1er novembre 2017
     

    Man for one season

    Graham Daseler on the unsubtle heft of Charlton Heston

    Possibly as a result of that divorce, Heston clung tightly to his own wife and children. He was married to the same woman for sixty-four years, almost always took his family with him when he went on location, and preferred nights at home with his children to Hollywood parties. One need only turn to his acting journals to see what an adoring husband and father he was, even if he could at times be rather self-congratulatory about it. “I doubt if I can be both a family man and a totally dedicated artist”, he mused in one entry. “I’d rather be the former.” And yet it was his parents’ divorce that also drove him to be an actor: “What acting offered me was the chance to be many other people. In those days, I wasn’t satisfied being me . . . . Kids of divorced parents always feel that way – that, on some subconscious level, they’re responsible”.

    Not particularly popular in school – “shy, skinny, short, pimply, and ill-dressed” is how he would later describe his adolescent self – he was, by his own admission, a lonely and self-loathing teenager. Then one day, on a lark, he tagged along with a friend who was trying out for a school play. That, Heston would later write, was when “I began my life”. He met his wife, Lydia, at a theatre class during his freshman year at Northwestern. They were married three years later, just as Heston was about to ship out for the Aleutians in the Army Air Corps. (He enlisted after Pearl Harbor but wasn’t called up until 1944.) Lydia was an actor, too, and early in their marriage it was anyone’s guess which one of them would have the more successful career. She got an agent first after they moved to New York, but he caught a bigger break when he was cast in a live-television production of Julius Caesar, leading to a string of roles on Studio One, a CBS anthology series committed to bringing highbrow drama – everything from Shakespeare to adaptations of Turgenev and George Orwell – into American living rooms. Over the coming years, as Heston’s acting career accelerated, Lydia let hers slow to a crawl.

    Although he saw himself as a committed New York stage actor, he went to Hollywood to appear in Dark City (1951), a decent, gritty film noir about a hustler who gets marked for death after he chisels the wrong guy in a card game. It foundered at the box office. He was in Cali­fornia to try out for a part he didn’t get when, on his way out of the Paramount parking lot, he happened to see Cecil B. DeMille standing on the steps of the building that bore his name. Though he’d never met DeMille before, Heston smiled and waved as he drove by. “Who was that?” DeMille asked his secretary. She reminded DeMille that he’d seen Dark City the previous week but hadn’t liked it. “Ummm, I liked the way he waved just now”, DeMille replied. He was, as it happened, casting The Greatest Show on Earth (1952) but had been unable to fill the part of the circus manager, Brad Braden, a character none too obliquely based on DeMille himself. No actor, thus far, had been quite handsome or masculine or commanding enough to suit his tastes – until, that is, DeMille saw Heston drive past. “We’d better have him in to talk”, the director said.

    Yet Heston wasn’t DeMille’s first choice to play Moses four years later. Nor was he William Wyler’s first choice to play Ben-Hur three years after that. Wyler, as well as everyone else at the studio, wanted Marlon Brando for the part. But Heston got them both, and they remain the defining films of his career. The Ten Commandments played to Heston’s strengths – his deep, sten­torian voice and his effortless aura of authority – while turning his limitations as an actor into assets. Moses is not a complex character, and he becomes less complicated as the movie goes on. In the first part of the film, he is driven by simple, understandable desires: his love for a woman, Nefertiti (Anne Baxter), and his wish to succeed at his job, building an Egyptian city. In the second, he is driven purely by his devotion to God. His other motivations fall away, and with them vanish all outward displays of emotion other than mighty determination. One reason it is so difficult now to picture anyone else as Moses is that a more versatile actor – a Brando, a Burt Lancaster, a Kirk Douglas – would have tried to do too much, making him more nuanced, more human. Moses isn’t a nuanced character. He is a religious icon rendered on celluloid.

    Ben-Hur was more of a stretch. Wyler was a hard director to please, notorious for taking and retaking even the simplest shots, sometimes dozens of times, until the actors achieved what he wanted. What that was, Wyler himself couldn’t always say. For one scene, he had Heston repeat the line “I’m a Jew!” sixteen times before he was satisfied. Heston wasn’t the least bit discouraged. “Willy’s the toughest director I’ve ever worked for”, he wrote in his diary during the shoot, “but I think he’s the best.” Wyler harnessed Heston’s intensity better than any director had before or would after, keeping his character’s angst at a simmer without ever – save for the silly scenes with Jesus – letting it boil over into hamminess.

    Ben-Hur won Heston an Oscar for Best Actor, and it secured his reputation as one of Hollywood’s leading stars. It also set a perilous standard to follow. After establishing himself with such cinematic bombast, Heston had trouble accepting projects that offered anything less, leading him to appear in a whole series of echoey epics: El Cid (1961), 55 Days at Peking (1963), The War Lord (1965), Khartoum(1966).

    He also fell prey to one of acting’s most pernicious vices: the need to be loved by his audience. To empathize with one’s character is one thing; to admire him entirely another. And to insist that the audience admire your character – not just as a dramatic creation but as a human being – is a particularly self-defeating form of vanity. A good actor must be willing to play scoundrels, morons and cowards. This Heston was not willing to do. Quite the opposite, in fact. “I’ve always been proud of the chance I’ve had to play genuinely great men”, he boasted in his autobiography.

    That Heston never quite reached Wayne’s level of superstardom has less to do with talent than timing. Wayne and his coevals – Spencer Tracy, Gary Cooper and Clark Gable, among others – had the good fortune of pursuing their careers at the height of the studio system, ensuring that they were well supplied with good scripts, as well as good directors to guide them. It is no coincidence that the most fruitful decade of Heston’s career was the 1950s: the tail end of the studio era. During this period, he was directed by DeMille (twice), Wyler (twice) and Orson Welles – just to name the giants – as well as King Vidor, Rudolph Maté and William Dieterle. In subsequent decades, the directors’ names became considerably less august – Heston worked with Sam Peckinpah before his prime and with Carol Reed well after his.

    Yet Heston took acting very seriously. As Eliot details, Heston built his characters from the outside in, spending weeks researching the types of clothes they might wear and the props they might carry before ever stepping on a set. When preparing to play historical characters, as he so often did, Heston made first for the library. Before appearing in The Ten Commandments, he read twenty-two books on Moses, in addition to the Old Testament. And he actively sought out directors whom he felt he could learn from, including on stage, to which he remained uncommonly devoted. “I must somehow get at Olivier, or get him to get at me”, he confided to his diary, during rehearsals for The Tumbler. “He must not be satisfied with competence. If I’m ever to reach anything special creatively, it surely must happen with this part, this director.” The play closed on Broadway after five performances.

    Heston rated himself alongside Olivier and Brando, not Tracy and Wayne. As a result, he often chose roles for which he was not ideally suited. When the negative reviews of The Agony and the Ecstasy (1965) began coming in, Heston was at a loss to understand what had gone wrong. “This is beginning to bug me a bit”, he wrote in his diary. “I’m good in this film. If it doesn’t register, there’s something bloody wrong somewhere.” The something that Heston can’t quite put his finger on is himself. His Michelangelo is as lifeless as a block of Carrara marble, devoid of both the artist’s famous melancholy, as well as the kind of creative lust that would allow a man to spend four years teetering 65 feet above the ground with paint dripping into his eyes to decorate a ceiling.

    A year later, Heston was crestfallen when Paul Scofield got the lead in A Man for All Seasons: “It’s too bad; I know I could do it better. Really I do”. Unfortunately for him, he eventually did get to appear in a television adaption of the play, thus making comparisons between his Thomas More and Scofield’s not only possible but inevitable. Externally, at least, Heston’s is the bigger performance – everything about it is bigger: his voice, his movements, the expressions on his face. Scofield plays More with monk-like serenity, except for a single, brief uncorking of his temper when More reproves the court that has just finished trying him. One might as well be comparing a Vermeer to a child’s drawing. After Richard Rich has testified against him, More asks Rich about the pendant around his neck. On being told that it is the chain of office of the Attorney General of Wales, More says to Rich, “Why Richard, it profits a man nothing to give his soul for the whole world. But for Wales?”. Heston delivers the rebuke like a comedy club one-liner, flinging the pendant down on Rich’s chest with disgust. Scofield says it sadly, in the manner of a doctor delivering a fatal prognosis, scorning Rich and yet pitying him at the same time.

    As an actor, Heston was best served by movies like The Big CountryThe Wreck of the Mary Deare (1959), Will Penny (1968) and Midway(1976), which capitalized on his commanding presence on screen while calling for Spartan displays of emotion. The best screen performance Heston gave, as well as the one he admired the most, was his portrayal of the cowboy Will Penny in the film of the same name. Penny is a man of few words, with few friends and even fewer possessions, a cowhand bouncing from job to job, his best years already behind him. Unlike other Heston characters, though, Penny seems at ease with his life. The coiled tension that is usually so marked in his performances is, in Penny, nowhere to be found. At one point, a younger cowboy picks a fight with Penny, only to end up in the dirt. When he complains that Penny doesn’t fight fair, Heston replies, “You’re the one that’s down”. Another actor might have delivered that line with menace or offered it as a taunt, but Heston says it matter-of-factly, unimpressed. He’s been around too long to get worked up over such horseplay.

    When it came to politics, Heston liked to quote his friend Ronald Reagan, stating that he hadn’t left the Democratic Party, the Democratic Party had left him. This kind of bumper-sticker explanation was no more credible coming from Heston than it was coming from Reagan. Early in his life, Heston was not only a liberal but, in fact, more liberal than most Democrats of the time. In 1961, against the wishes of MGM’s nervous publicity department, he hung a sandwich board from his shoulders reading “ALL MEN ARE CREATED EQUAL” and, with an old pal from New York, marched through the streets of Oklahoma City protesting against the segregation of the city’s restaurants. Two years later, when Martin Luther King Jr led his March on Washington for Jobs and Freedom, Heston walked in the front row, directly behind King. While Marlon Brando urged the Hollywood contingent, which included Sidney Poitier, Paul Newman, Harry Belafonte and Burt Lancaster, to make some kind of provocative demonstration (like chaining themselves to the Jefferson Memorial), Heston argued that such action would only distract from King’s message, making them look like a bunch of spoiled, self-aggrandizing radicals. The group, sensibly, listened to Heston rather than Brando. Most surprising – at least for those who remember him, years later, as president of the National Rifle Association – he lobbied for the passage of the 1968 Gun Control Act, which remains one of the more stringent firearms laws passed in the United States.

    What changed? Heston was turned off by the more wild-eyed antics of the Left in the late 1960s and early 70s, and he was clearly not entirely comfortable with the country’s changing social and sexual mores. His diary entries from this period begin to be dappled with curmudgeonly asides about Gloria Steinem, “ball-cutting” Barbara Walters and the large number of anti-government films being made. He was, likewise, never able to relinquish his support for the Vietnam War – in this instance, though, he was right about America’s shifting political landscape. The Democratic Party did move away from him on Vietnam. In 1960 and 1964, he voted for Kennedy and Lyndon Johnson, respectively, both pro-war Democrats. When, in 1972, he was presented with a choice between Richard Nixon and George McGovern, who pledged to end the war immediately, he chose the warrior Nixon. But there was always something essentially conservative at Heston’s core, as his distaste for radical action during King’s march on Washington showed. William Wyler caught this in The Big Country in which Heston plays the foil to Gregory Peck’s idealistic protagonist. The film, though ostensibly a western about two rival families and the outsider who comes between them, is really a parable about the two opposing sides of American political thought, with Heston’s conservative on one side and Peck’s liberal on the other. Peck plays a boat captain from the east, come west to marry his sweetheart. Though personally unafraid of violence, he is committed to using it only as a last resort, preferring to broker a deal that will benefit both families. Heston plays the hard-boiled, no-nonsense foreman of the Terrill ranch, Steve Leech, who insists that violence must be met with violence – that, in a land without laws or policemen, order can only be maintained through strength. Since the movie was directed by Wyler and produced by Peck, both lifelong Democrats, the liberal naturally wins the ideological argument. Tellingly, though, when Peck and Heston finally have it out, in an epic battle of moonlit fisticuffs, neither one wins, pummelling each other till they can barely stand but never scoring a knock-out.

    He was approached on more than one occasion, both by Democrats and Republicans, to run for one of California’s Senate seats. He seriously considered the matter in 1969 but, ultimately, found it impossible to give up his true passion: “The thought of never being able to act again, go onstage, or wait for the first take was simply unbearable”. During the 1980s, however, as his acting career dimmed, he increasingly served as a spokesman for various, mostly conservative, political causes. Like many who moonlight in politics, he was sometimes more passionate than informed. In a CNN debate with Christopher Hitchens in 1991, Heston, arguing in favour of military intervention against Iraq, revealed that he was only roughly aware of where the country was located. (He named Russia and Bahrain as contiguous countries.) After the gun massacre at Columbine High School, in which twelve students and one teacher were killed, Heston, who was then president of the National Rifle Association, declared, “If there had been even one armed guard in the school he could have saved a lot of lives and perhaps ended the whole thing instantly”. There had been an armed guard at the school.

    It is this role, as president of the NRA, that now defines Heston’s political life, as well as casting a shadow over his acting career. Few today recall his advocacy for Civil Rights or for the National Endowment for the Arts, but nearly everyone can remember him waving a musket over his head and growling, “From my cold, dead hands!” In the light of the mass shooting in Las Vegas, the worst in recent American history, this is particularly damaging. Heston’s voice, his stage training and his screen persona made him an excellent spokesman for the organization, and gave him the chance to stand before a roaring crowd again.

    For all his passion for politics and obvious affection for his family, Heston was a thorough­ly self-involved individual. His acting diaries, as well as his autobiography, In the Arena (1995), beam with self-admiration. Eliot’s failure to remark on such a defining trait, in a biography that runs to nearly 500 pages, is unfortunate, if not uncharacteristic. Eliot prefers to describe rather than to dissect, leaving critical exegesis to others, and also, unfortunately, making numerous factual errors. Most of these mistakes are what you might call unforced errors, minor inaccuracies that are tangential to the story of Heston’s life. In the first page of the prologue, Eliot states that Heston was the longest-running president of the Screen Actors Guild, forgetting that Barry Gordon served a year longer. Later, when discussing Heston’s collaboration with Orson Welles on Touch of Evil (1958), he writes that Welles’s previous film, Man in the Shadow (1958), gave Welles his “first appearance in a Hollywood film in nearly ten years, following 1948’s dis­astrous The Lady from Shanghai”. What about Prince of Foxes(1949), The Black Rose (1950) and Moby Dick (1956)?

    Less forgivable are the errors Eliot makes about his subject’s life, especially since so many of them can be flagged simply by consulting Heston’s acting journals, published in 1976. These include everything from getting dates wrong (Eliot writes that Gore Vidal arrived on the set of Ben-Hur on April 29, 1958 when he actually arrived on April 23) to taking a full 20 lbs off Heston’s weight, to stating that nobody, not even Heston, thought Planet of the Apes was going to do well at the box office. In fact, in a journal entry from October 31, 1967, three months before the film’s premiere, Heston wrote, “We saw APES today, with no score, no looped dialogue, and an unbalanced print. I liked it enormously. I think it may find a bigger audience than anything I’ve done since BEN-HUR”. (He was right about that.)

    Eliot goes most awry when he relates the story of what was probably the greatest crisis in Heston’s long marriage. It occurred in the spring of 1973, as Heston was preparing to go to Spain to appear in The Three Musketeers. Lydia had for several years been suffering from increasingly severe migraines, which made her irritable, leading the couple to bicker. This culminated in a blow-up on April 27 that Heston touchingly described in his diary entry that day:

    This turned out to be one of the very worst days of my life. Everything was wrenched out of joint. For the first time in my life, I believed Lydia would leave me. I spent some bleak hours trying to find some adjustment to it. She didn’t in the end and I don’t think she will, but it isn’t yet over, and may not be for some time. I can’t live without her, as I well know, and it seems she can’t live without me. We must begin with that . . . and end with it, too, I guess.

    Eliot’s comment on this: “Heston had to catch a plane, which was probably a blessing”. But Heston didn’t leave for Europe until May 18, three weeks later. Before he left, Lydia underwent a thyroid operation, hoping it would allev­iate her migraines. Afterwards, Heston sat at her hospital bedside, recording his apprehensions in his diary. Yet Eliot makes it sound as if he was in Spain during this whole episode. This is both an inexplicable confusing of the facts and an unfair account of Heston’s marriage. Heston didn’t arrive in Madrid until well after Lydia’s surgery, and yet Eliot makes it sound as if he was off bending the elbow with Oliver Reed while his wife was all alone in Los Angeles, going under the knife.

    Eliot also tends to assert more than he could ever know about his subject. “He was jolted out of his chair and, red-faced with rage, decided he had to enlist.” “He threw his arms around her, and pulled her so close he could feel her belly pressing into him.” And maybe worst of all: “Heston had to pinch himself to make sure he wasn’t dreaming”. The impression given by all this – both the errors of fact and the unfounded projections of emotion – is that Eliot would rather be writing a novel than a biography.

    Heston lived an extraordinarily rich and exciting life, in no need of dressing up. He served in the Second World War; starred in his first film before he was thirty; marched with Martin Luther King; played tennis with Rod Laver; argued politics with Dwight Macdonald on the White House lawn; travelled to South-East Asia at the height of the Vietnam War; served as an emissary to China and East Berlin; had an acting career that lasted for more than five decades, combined with a marriage that lasted for more than six; and won an Oscar. “I have work, health, happiness, love”, Heston jotted in his diary in 1965. “What else is there?”

    Talent. That was the one gift denied Heston, and it was the gift he craved the most. What Heston’s career before the camera reveals is that acting ability – at least of the kind that Heston so desperately wanted – cannot be achieved through hard work alone. If it could, Heston would have been the greatest actor of his generation. He had all the obviously essential qualities: a handsome face; an athletic body; a rich, resonant voice; intelligence; discipline; and ambition. He also worked tirelessly, in defiance of his limitations. When Stephen Macht, who acted onstage with Heston in A Man for All Seasons, asked him why he kept coming out night after night, despite the fact that the critics panned him so mercilessly, Heston smiled. “Because”, he said, “one day I will get it right.”

     
    Je ne sais pas si vous serez tentés de lire cette longue critique du livre de Marc Eliot. Moi-même, je me suis sentie découragée devant l'entreprise de traduction que je devais faire. J'ai hésité, mais la curiosité étant un de mes traits dominants, je me suis attelée à cette traduction.
     
    Ce travail a été ardu, car certaines expressions et certains mots m'ont donné du fil à retordre ; je n'ai pas trouvé forcément la corrélation en français et j'ai dû adapter sans pour autant trahir ce qu'a voulu dire Graham Daseler. J'espère que vous me pardonnerez. 
    Maintenant que la traduction est faite, je me suis trouvée face à un dilemme : " dois-je publier ou ne pas le faire?". 
     
    J'ai décidé de publier malgré que Graham Daseler ait la dent dure envers Charlton Heston. J'ai l'impression que l'hôpital se moque de la charité. 
    Je ne décolère pas, malgré que mon honnêteté me force à relever une certaine objectivité de sa part, mais je pense qu'il aurait pu s'abstenir de beaucoup de remarques désobligeantes envers Charlton Heston surtout quand il prétend qu'il était dénué de talent et de beaucoup d'autres choses.  
     
    Graham Daseler n'aime pas Charlton Heston, c'est évident....
     
    Mais je compte sur vos réactions et c'est pour cela que je publie ces critiques acerbes.
     
    A la réflexion, pour moi, le seul critique honnête et objectif sur Charlton Heston, était Chuck himself, il suffit de le lire pour en être convaincu.  
     
    Merci spécial à Clarisse qui m'a transmis le lien de ces critiques et son éclairage pour la NDT.

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    Marc Eliot

    Man for one season

    https://www.the-tls.co.uk/articles/public/charlton-heston-daseler/

    (Article du 11 octobre 2017 )

     

     

     

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    Charlton Heston n'était pas un comédien protéiforme, comme Marlon Brando ou Paul Newman se renouvelant dans chaque film : voir une performance d'Heston, c'est plus ou moins les voir toutes. Il n'a pas joué particulièrement bien. L'humour semblait lui échapper complètement (un déficit qui, étrangement, le rendait parfait pour le rôle du Cardinal de Richelieu dans l'adaptation de Richard Lester : " TheThree Musketeers "). Comme John Wayne, il y a quelque chose de félin chez lui. Pourtant, alors que Wayne est toujours à l'aise - un lion traque sans partage à travers la savane - Heston est le contraire, toujours tendu, comme un tigre en cage qui attend de se libérer. C'est pourquoi on peut soupçonner les réalisateurs de l'avoir si souvent enchaîné, prisonnier à la cour de Ramsès dans Les dix commandements (1956), galérien dans Ben-Hur (1959), un humain pris dans un zoo inversé dans Planet of the Apes (1968), ou le captif des zombies albinos dans The Omega Man (1971).

     

    La polyvalence qui lui manquait, Heston la compensait par son statut d'icône. Thomas Jefferson, William Clark (de Lewis et Clark), Andrew Jackson, Moïse, Michel-Ange et Gordon de Khartoum - c'était le genre d'hommes qu'il représentait. La raison pour laquelle il ne pouvait pas, comme Brando ou Newman, jouer n'importe qui, c'est qu'il ne semblait pas être n'importe qui. Il était trop grand pour ça. " Si Dieu est venu sur la terre ", a plaisanté un journaliste, " la plupart des cinéphiles ne le croiraient pas à moins qu'il ait ressemblé à Charlton Heston. " Même dans sa forme la plus modérée, sa voix gronde. Au cours de la réalisation des Dix Commandements, Cecil B. DeMille ne savait d'abord pas  à qui s'adresser pour la voix de Dieu, jusqu'à ce qu'il lui semble que le bon interprète était déjà sur le plateau. Quand Moïse parle au Tout-Puissant, dans la scène du buisson ardent, c'est la voix d'Heston qui répond.

     

    Heston est né John Charles Carter le 4 octobre 1923. (Charlton est le nom de jeune fille de sa mère qui lui donna le nom de son nouveau mari, Heston, qu'il gardera plus tard ). Il a grandi dans le Michigan, où son père travaillait dans une scierie. C'était une enfance ressemblant à celle de Nick Adams, pleine de chasse, de pêche et de marche à travers les bois. Toute sa vie, Heston idéalisera sa jeunesse, écrivant, plus de soixante ans plus tard : «les grandes cathédrales moussues de pins centenaires» près de chez lui et, fendant des bûches en «piles de petits bois odorants» pour que sa mère puisse cuisiner le dîner. Puis, quand il eut dix ans, ses parents ont divorcé. Sa mère s'est remariée et, après une série de déménagements, ils se sont retrouvés à Chicago, où Heston, un paysan différent des autres enfants, se sentant mal à l'aise et déplacé. Il n'a plus revu son père pendant dix ans. Marc Eliot, dans sa biographie : Charlton Heston: la dernière icône d'Hollywood, fait valoir que ce divorce était l'événement central dans la vie d'Heston. "Le petit garçon a tout perdu", écrit Eliot, "son chien, ses bois bien-aimés, son vrai père, même son nom".

     

    Il est probable qu'à la suite de ce divorce, il résultera qu'Heston se cramponnera étroitement à sa propre femme et à ses enfants. Il a été marié à la même femme pendant soixante-quatre ans, a presque toujours emmené sa famille avec lui quand il était en déplacement, et a préféré les soirées à la maison avec ses enfants aux fêtes d'Hollywood.  Il suffit de se tourner vers ses journaux intimes pour voir à quel point il était un mari et un père aimants, même s'il pouvait parfois être plutôt autosuffisant à ce sujet. "Je doute que je puisse être à la fois, un père de famille et un artiste totalement dévoué ", a-t-il dit dans un article. «Je préférerais être le premier.» Et pourtant, c'est le divorce de ses parents qui l'a poussé à devenir acteur : «Ce que le jeu m'offrait était la chance d'être beaucoup d'autres personnes. A cette époque, je n'étais pas satisfait d'être moi. . .  Les enfants de parents divorcés le ressentent toujours, c'est-à-dire que, au niveau du  subconscient, ils se sentent responsables ».

     

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    Pas particulièrement populaire à l'école — « timide, maigre, petit, boutonneux et mal habillé » c'est ainsi qu'il se décrira lui-même plus tard  — il était, de son propre aveu, un adolescent solitaire et détestable. Puis un jour, pour rigoler, il a marqué avec un ami, un essai pour un jeu scolaire. Heston écrira plus tard —  cela était quand "j'ai commencé ma vie" —. Il a rencontré sa femme Lydia, lors d'une classe de théâtre pendant sa première année à Northwestern. Ils se sont mariés trois ans plus tard, juste au moment où Heston était sur le point d'embarquer pour les Aléoutiennes dans l'Army Air Corps. (Il s'est enrôlé après Pearl Harbor mais n'a été appelé qu'en 1944.) Lydia était aussi une actrice, et au début de leur mariage, on devinait que l'un d'entre eux aurait la carrière la plus réussie. Elle a eu la première, un agent après avoir déménagé à New York, mais il a pris une plus longue pause, quand il a été engagé dans une production télévisée en direct de Jules César, menant à une série de rôles sur Studio One,  une série d'anthologie de la CBS qui s'était engagée à apporter dans les salons américains, des dramatiques de haut niveau - depuis Shakespeare aux adaptations de Turgenev et George Orwell - . Au cours des années suivantes, alors que la carrière d'acteur d'Heston s'accélérait, Lydia laissa ralentir la sienne.  

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    Bien qu'il se soit vu comme un acteur new-yorkais engagé, il est allé à Hollywood pour apparaître dans Dark City (1951), un film noir sur un arnaqueur qui est menacé de mort après avoir démasqué le mauvais gars au cours d'une partie de cartes. Il s'est effondré au box-office. Il est parti en Californie pour les essais d'un rôle qu'il n'a pas obtenu quand, en sortant du parking Paramount, il a vu Cecil B. DeMille debout sur les marches du bâtiment qui portait son nom. Bien qu'il n'ait jamais rencontré DeMille auparavant, Heston sourit et salua de sa main pendant qu'il passait. "Qui était-ce?" Demanda DeMille à sa secrétaire. Elle rappela à DeMille qu'il avait vu Dark City la semaine précédente mais qu'il n'avait pas aimé. "Ummm, j'ai aimé tout de suite la façon dont il a salué d'un signe de la main", a répondu DeMille. Il était, en l'occurrence, en train de monter The Greatest Show on Earth (1952), mais n'avait pas été capable de trouver le rôle du directeur du cirque, Brad Braden, un personnage basé sur celui de DeMille lui-même. Aucun acteur, jusqu'ici, n'avait été assez beau ou viril ou assez autoritaire pour satisfaire ses goûts - jusqu'à ce que, DeMille ait vu passer Heston. "Nous ferions mieux de le rencontrer pour parler", a déclaré le directeur.

     

    Pourtant, Heston n'était pas le premier choix de DeMille pour jouer Moïse quatre ans plus tard. Il n'a pas non plus été le premier choix de William Wyler pour jouer Ben-Hur trois ans plus tard. Wyler, ainsi que tout le monde au studio, voulait Marlon Brando pour le rôle. Mais Heston les a eus tous les deux, et ils restent les films déterminants de sa carrière. Les dix commandements jouaient sur les atouts d'Heston — sa voix profonde et stentorienne et son aura d'autorité naturelle — tout en faisant de ses limites en tant qu'acteur, une force. Moïse n'est pas un personnage complexe, et il devient moins compliqué au long du film. Dans la première partie du film, il est animé par des désirs simples et compréhensibles : son amour pour une femme, Nefertiti (Anne Baxter), et son désir de réussir son travail, en construisant une ville égyptienne. Dans la seconde, il est poussé uniquement par sa dévotion à Dieu. Ses autres motivations tombent, et avec elles disparaissent toutes les manifestations extérieures de l'émotion autre que la détermination puissante. L'une des raisons pour lesquelles il est si difficile aujourd'hui d'imaginer quelqu'un d'autre dans le rôle de Moïse est qu'un acteur plus polyvalent - un Brando, un Burt Lancaster, un Kirk Douglas - aurait essayé d'en faire trop, le rendant plus nuancé, plus humain. Moïse n'est pas un personnage nuancé. Il est une icône religieuse rendue sur pellicule.

     

    Ben-Hur était plus malléable. Wyler était un réalisateur difficile à satisfaire, notoirement pour reprendre et repasser même les plans les plus simples, parfois des dizaines de fois, jusqu'à ce que les acteurs réalisent ce qu'il voulait. Ce que c'était, Wyler lui-même ne pouvait pas toujours le dire. Pour une scène, il avait fait répéter à Heston, la phrase  "Je suis un Juif !" seize fois avant qu'il ne soit satisfait. Heston n'était pas le moins découragé. "Willy est le réalisateur le plus dur pour lequel j'ai travaillé", écrit-il dans son journal pendant le tournage, "mais je pense qu'il est le meilleur."  Wyler a exploité l'intensité d'Heston mieux que n'importe quel metteur en scène avant ou après,  gardant l'angoisse de son personnage  - sauf pour les scènes idiotes avec Jésus -  le laissant se transformer.

    Ben-Hur a fait gagner à Heston un Oscar du me)illeur acteur, et il a assuré sa réputation en tant qu'une des stars principales d'Hollywood. Il a également établi une norme périlleuse à suivre. Après s'être imposé avec un tel engouement cinématographique, Heston a eu du mal à accepter des projets moins intéressants, ce qui l'a amené à apparaître dans toute une série d'épopées : El Cid (1961), 55 Days at Peking (1963), The War Lord (1965) , Khartoum (1966).

     

    Il est également devenu la proie de l'un des vices les plus pernicieux de l'action : le besoin d'être aimé par son public. Sympathiser avec son caractère est une chose ; l'admirer entièrement en est une autre. Et insister pour que le public admire votre personnage - pas seulement en tant que création dramatique mais en tant qu'être humain - est une forme de vanité particulièrement auto-destructrice. Un bon acteur doit être prêt à jouer des canailles, des crétins et des lâches. Cet Heston n'était pas disposé à le faire. Plutôt l'inverse, en fait. "J'ai toujours été fier de la chance que j'ai eue de jouer de vrais grands hommes", se vantait-il dans son autobiographie.

     

    Qu'Heston n'ait jamais atteint le niveau de superstar de Wayne,  a moins à voir avec le talent qu'avec l'époque. Wayne et ses collègues - Spencer Tracy, Gary Cooper et Clark Gable, entre autres - ont eu la chance de poursuivre leur carrière grâce au système des studios, ils étaient assurés d'avoir de bons scripts, ainsi que de bons directeurs pour les diriger. Ce n'est pas par hasard que la décennie la plus fructueuse de la carrière d'Heston a été celle des années 1950 : la fin de l'ère des studios. Au cours de cette période, il a été dirigé par DeMille (deux fois), Wyler (deux fois) et Orson Welles - pour ne nommer que les géants - ainsi que King Vidor, Rudolph Maté et William Dieterle. Au cours des décennies suivantes, les noms des réalisateurs devinrent considérablement moins augustes - Heston travailla avec Sam Peckinpah avant sa première consécration (NDT) et avec Carol Reed bien après la sienne.(NDT)  

    NDTla première consécration de Peckinpah fut le film "La Horde sauvage " (1969) et celle de Carol Reed pour le film "Le troisième homme" (1949)

    Pourtant, Heston a pris le jeu très au sérieux. Comme le rappelle Eliot, Heston a construit ses personnages de l'extérieur, passant des semaines à chercher les types de vêtements et les accessoires qu'il pourrait porter avant de monter sur un plateau. En se préparant à jouer des personnages historiques, comme il le faisait si souvent, Heston se documentait à travers la bibliothèque. Avant d'apparaître dans les dix commandements, il a lu vingt-deux livres sur Moïse, en plus de l'Ancien Testament. Et il cherchait activement des réalisateurs dont, pensait-il, il pourrait apprendre, y compris sur scène à laquelle il s'est inhabituellement consacré " Je dois d'une manière ou d'une autre aller voir Olivier, ou le faire venir", confiait-il à son journal, pendant les répétitions pour The Tumbler. "Il ne doit pas être satisfait de ma compétence. Si je dois atteindre quelque chose de créatif de façon exceptionnelle, cela doit sûrement arriver avec cette pièce, et ce metteur en scène ". La pièce a fermé à Broadway après cinq représentations.

     

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    Heston s'est mesuré aux côtés d'Olivier et Brando, pas Tracy et Wayne. En conséquence, il a souvent choisi des rôles pour lesquels il n'était pas idéalement adapté. Quand les critiques négatives sur The Agony et The Ecstasy (1965) ont commencé à arriver, Heston était incapable de comprendre ce qui s'était passé. " Cela commence à me déranger un peu ", écrit-il dans son journal. " Je suis bon dans ce film. Si ce n'est pas remarqué, il y a quelque chose de sanglant quelque part ". Le truc sur lequel Heston ne peut pas tout à fait mettre le doigt, est lui-même. Son Michelangelo est aussi sans vie qu'un bloc de marbre de Carrare, exempts tous les deux de la mélancolie célèbre de l'artiste, aussi bien que la sorte de soif créative qui permettait à un homme de passer quatre ans à chanceler 65 pieds au-dessus de la terre avec la peinture dégoulinant dans ses yeux, pour décorer un plafond.

     

    Un an plus tard, Heston a été découragé lorsque Paul Scofield a été choisi pour A Man for all saisons : « C'est trop mauvais ; Je sais que je pourrais le faire mieux. Vraiment je le ferais ". Malheureusement pour lui, il finit par apparaître dans une adaptation télévisée de la pièce, provoquant ainsi des comparaisons entre son Thomas More et celui de Scofield ce qui était non seulement possible mais inévitable. Extérieurement, au moins, Heston est la plus grande performance - tout est plus grand : sa voix, ses mouvements, les expressions sur son visage. Scofield joue More avec une sérénité semblable à celle d'un moine, à l'exception d'une seule, brève ouverture de son caractère, quand More réprouve la cour qui vient de finir de le juger. On pourrait aussi bien comparer un Vermeer au dessin d'un enfant. Après que Richard Rich ait témoigné contre lui, More questionne Rich à propos du pendentif autour de son cou. En apprenant qu'il s'agit de la chaîne du procureur général du pays de Galles, More dit à Rich : «Pourquoi Richard, il ne profite à aucun homme de donner son âme pour le monde entier, mais pour le Pays de Galles? ". Heston livre la réprimande comme une doublure d'un club de comédie, arrachant le pendentif de la poitrine de Rich et le jetant à terre avec dégoût. Scofield le dit tristement, à la manière d'un docteur pronostiquant un mauvais diagnostic, méprisant Rich et le plaignant en même temps.

    En tant qu'acteur, Heston a été mieux servi par des films comme The Big CountryThe Wreck of the Mary Deare  (1959), Will Penny (1968) et Midway (1976), capitalisant sur sa présence imposante à l'écran tout en appelant à l'émotion. La meilleure performance d'Heston, ainsi que celle qu'il admirait le plus, était son interprétation du cow-boy Will Penny dans le film du même nom. Penny est un homme peu bavard, avec peu d'amis et encore moins de biens, un cow-boy qui rebondit d'un emploi à l'autre, ses meilleures années déjà derrière lui. Contrairement à d'autres personnages d'Heston, cependant, Penny semble à l'aise avec sa vie. La tension qui est habituellement si marquée dans ses performances est, dans Penny, introuvable. À un moment donné, un jeune cow-boy se bat avec Penny, pour finir dans la poussière. Quand il se plaint que Penny ne se bat pas correctement, Heston répond: " tu es celui qui est en panne ". Un autre acteur aurait peut-être franchi cette ligne en menaçant ou l'aurait joué comme une provocation, mais Heston le dit d'un ton neutre, pas impressionné. Il est là depuis trop longtemps pour s'énerver sur un tel jeu de mains.

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    Quand il est venu à la politique, Heston aimait citer son ami Ronald Reagan, déclarant qu'il n'avait pas quitté le Parti démocrate, le Parti démocrate l'avait quitté. Ce genre d'explication d'autocollant  de voiture, n'était pas plus crédible venant d'Heston que de Reagan. Au début de sa vie, Heston n'était pas seulement un libéral mais, en fait, plus libéral que la plupart des démocrates de l'époque. En 1961, contre la volonté du service de publicité de MGM, il a accroché un panneau publicitaire sur ses épaules sur lequel on pouvait lire :  "TOUS LES HOMMES SONT CRÉÉS ÉGAUX" et, avec un vieux copain de New York, il a défilé dans les rues d'Oklahoma City pour protester contre la ségrégation des restaurants de la ville. Deux ans plus tard, quand Martin Luther King Jr a conduit sa marche sur Washington pour l'emploi et la liberté, Heston a marché dans la première rangée, directement derrière King. Alors que Marlon Brando invitait le contingent hollywoodien, qui comprenait Sidney Poitier, Paul Newman, Harry Belafonte et Burt Lancaster, à faire une sorte de démonstration provocante (comme s'enchaîner au Jefferson Memorial), Heston a soutenu qu'une telle action ne ferait que détourner le message de King, les faisant ressembler à un groupe capricieux, venant grossir les radicaux. Le groupe, sensiblement, a écouté Heston plutôt que Brando. Le plus surprenant - du moins pour ceux qui s'en souviennent, des années plus tard, en tant que président de la National Rifle Association -, il a fait pression pour l'adoption de la Loi de 1968 sur le contrôle des armes à feu, qui reste l'une des lois sur les armes à feu les plus strictes adoptées aux États-Unis.

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    Qu'est ce qui avait changé ? À la fin des années 1960 et au début des années 70, Heston a été découragé par les bouffonneries les plus folles de la gauche, et clairement,  il n'était pas complètement à l'aise avec les moeurs sociales et sexuelles changeantes du pays. Ses entrées dans le journal de cette période commencent à être entâchées de mesquineries à propos de Gloria Steinem (1), de «ball-cutting» Barbara Walters (2) et du grand nombre de films anti-gouvernementaux en cours de réalisation. De même, il ne fut jamais capable de renoncer à son soutien à la guerre du Vietnam - dans ce cas, cependant, il avait raison sur le paysage politique changeant de l'Amérique. Le Parti démocrate s'est éloigné de lui au Vietnam. En 1960 et 1964, il a voté pour Kennedy et Lyndon Johnson, respectivement démocrates pro-guerre. Quand, en 1972, il eut le choix entre Richard Nixon et George McGovern, qui s'engagèrent à mettre immédiatement fin à la guerre, il choisit le guerrier Nixon. Mais il y avait toujours quelque chose de fondamentalement conservateur au cœur d'Heston, comme l'a montré son dégoût pour l'action radicale pendant la marche de King sur Washington. William Wyler l'a capté dans The Big Country dans lequel Heston joue le rôle de l'adversaire de l'idéaliste Gregory Peck. Le film, bien que ostensiblement un western sur deux familles rivales et l'outsider qui se trouve entre eux, est vraiment une parabole sur les deux côtés opposés de la pensée politique américaine, avec le conservatisme d'Heston d'un côté et le libéralisme de Peck de l'autre. Peck joue un capitaine de bateau de l'Est, venant à l'Ouest pour épouser son amour. Bien qu'il n'ait personnellement pas peur de la violence, il s'est engagé à l'utiliser en dernier recours, préférant négocier un accord qui profitera aux deux familles. Heston incarne Steve Leech, le contremaître dur et rusé du ranch Terrill, qui insiste sur le fait que la violence doit être brutale - que, dans un pays sans lois ni policiers, l'ordre ne peut être maintenu que par la force. Depuis que le film a été réalisé par Wyler et produit par Peck, les deux Démocrates perpétuels, le libéralisme gagne naturellement sur l'argument idéologique. Fait révélateur, cependant, Peck et Heston s'en sont finalement sortis, quand dans une bataille épique à coups de poings au clair de lune, ni l'un ni l'autre ne gagne, se battant jusqu'à ce qu'ils puissent à peine se tenir debout mais ne jamais marquer un knock-out.

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    Il a été approché à plus d'une occasion, à la fois par les démocrates et les républicains, pour se présenter à l'un des sièges au Sénat californien. Il a sérieusement réfléchi à la question en 1969, mais a fini par trouver impossible d'abandonner sa véritable passion : L'idée de ne jamais pouvoir agir à nouveau, de monter sur scène ou d'attendre la première prise lui était simplement insupportable. Au cours des années 1980, cependant, alors que sa carrière d'acteur diminuait, il servait de plus en plus de porte-parole pour diverses causes politiques, pour la plupart conservatrices. Comme beaucoup de ceux qui font la lumière en politique, il était parfois plus passionné qu'informé. Dans un débat de CNN avec Christopher Hitchens en 1991, Heston, plaidant en faveur d'une intervention militaire contre l'Irak, a révélé qu'il ne connaissait quasiment que l'endroit où se trouvait le pays. (Il a nommé la Russie et Bahreïn comme pays contigus.) Après le massacre à Columbine High School, où douze étudiants et un enseignant ont été tués, Heston, qui était alors président de la National Rifle Association, a déclaré : "S'il y avait eu même un garde armé à l'école on aurait pu sauver beaucoup de vies et peut-être mettre fin à tout ça instantanément ". Il y avait un garde armé à l'école.

     

    C'est ce rôle, en tant que président de la NRA, qui définit maintenant la vie politique d'Heston, tout en jetant une ombre sur sa carrière d'acteur. Rares sont ceux qui se souviennent aujourd'hui de son plaidoyer en faveur des droits civiques ou du National Endowment for the Arts, mais presque tout le monde se souvient de lui brandissant un mousquet au-dessus de la tête et grognant : «De mes mains froides et mortes! ". A la lumière du massacre de masse de Las Vegas, le pire de l'histoire américaine récente, c'est particulièrement dommageable. La voix d'Heston, sa formation sur scène et son personnage à l'écran en ont fait un excellent porte-parole de l'organisation et lui ont donné l'occasion de se présenter à nouveau devant une foule rugissante.

     

    Pour toute sa passion pour la politique et l'affection évidente pour sa famille, Heston était un homme complètement impliqué. Ses journaux intimes, ainsi que son autobiographie, In the Arena (1995), rayonnent d'admiration. L'absence d'Eliot à commenter un trait aussi définitif, dans une biographie de près de 500 pages, est regrettable, sinon inhabituelle. Eliot préfère décrire plutôt que disséquer, laissant l'exégèse critique aux autres et, malheureusement, faisant de nombreuses erreurs factuelles. La plupart de ces erreurs sont ce que vous pourriez appeler des erreurs non forcées, des inexactitudes mineures qui sont tangentielles à l'histoire de la vie d'Heston. Dans la première page du prologue Eliot déclare : Heston était le président au plus long mandat à la Screen Actors Guild, oubliant que Barry Gordon a servi un an de plus. Plus tard, en discutant la collaboration d'Heston avec Orson Welles sur Touch of Evil (1958), il écrit que le  précédent film de Welles, Man in the Shadow  (1958), a donné à Welles sa « première apparition dans un film hollywoodien depuis près de dix ans après le désastreux La Dame de Shanghai (1948). Qu'en est-il de Prince of Foxes (1949), de The Black Rose (1950) et de Moby Dick (1956)?

     

    Les erreurs qu'Eliot commet à propos de la vie de son sujet sont d'autant moins pardonnables,  que bon nombre d'entre elles peuvent être vérifiées simplement en consultant les journaux intermédiaires d'Heston, publiés en 1976. Ceux-ci permettent de ne pas se tromper de dates (Eliot écrit que Gore Vidal est arrivé sur le plateau de Ben-Hur le 29 avril 1958, quand il est arrivé le 23 avril) ensuite, sur la prise de poids d'Heston, déclarant que personne, pas même Heston, pensait que Planet of the Apes allait bien se placer au box-office.  En fait, dans un article du 31 octobre 1967, trois mois avant la première du film, Heston écrivait : " Nous avons vu APES aujourd'hui, sans partition, sans dialogue en boucle et avec un tournage déséquilibré. Je l'ai aimé énormément. Je pense que ça peut être pour un public plus large que tout ce que j'ai fait depuis BEN-HUR ". (Il avait raison à ce sujet.)

     

    Eliot va de travers quand il raconte l'histoire de ce qui était probablement la plus grande crise dans le long mariage d'Heston. C'est arrivé au printemps de 1973, alors qu'Heston se préparait à aller en Espagne pour apparaître dans Les Trois Mousquetaires. Lydia souffrait de migraines de plus en plus sévères depuis plusieurs années, ce qui la rendait irritable, conduisant le couple à se quereller. Cela a abouti à une explosion le 27 avril qu'Heston décrit avec émotion dans son journal de bord ce jour-là :

    ‹‹ Cela s'est avéré être l'un des pires jours de ma vie. Tout a été arraché de notre union. Pour la première fois de ma vie, je pensais que Lydia me quitterait. J'ai passé quelques heures mornes à essayer de trouver un ajustement. Elle ne l'a pas fait à la fin et je ne pense pas qu'elle le fera, mais ce n'est pas encore fini, et peut-être pas pour un certain temps. Je ne peux pas vivre sans elle, comme je le sais, et elle ne semble pas pouvoir vivre sans moi. Nous devons faire avec cela. . . et finir avec, aussi, je suppose.››

    Le commentaire d'Eliot sur ceci : " Heston a dû attraper un avion, qui était probablement une bénédiction ". Mais Heston n'est parti pour l'Europe que le 18 mai, trois semaines plus tard. Avant son départ, Lydia a subi une opération thyroïdienne, espérant que cela soulagerait ses migraines. Après, Heston s'est assis à son chevet à l'hôpital, enregistrant ses appréhensions dans son journal intime. Pourtant, Eliot donne l'impression qu'il était en Espagne pendant tout cet épisode. C'est à la fois une confusion inexplicable des faits et un compte rendu injuste du mariage d'Heston. Heston n'est arrivé à Madrid que bien après l'opération de Lydia, mais Eliot donne l'impression qu'il lève le coude avec Oliver Reed pendant que sa femme était seule à Los Angeles, se faisant opérer. 

    Eliot a aussi tendance à affirmer plus qu'il ne pourra jamais connaître son sujet. "Il a été secoué de sa chaise et, rougi par la rage, il a décidé qu'il devait s'enrôler." "Il l'a serrée dans ses bras et l'a tirée si près qu'il pouvait sentir son ventre se presser contre lui." Et peut-être le pire de tout :  " Heston a dû se pincer pour s'assurer qu'il ne rêvait pas".  L'impression donnée par tout cela - à la fois les erreurs de faits et les projections non fondées de l'émotion - est qu'Eliot préfère écrire un roman plutôt qu'une biographie.

     

    Heston a vécu une vie extraordinairement riche et passionnante, sans avoir besoin de travestir. Il a servi pendant la Seconde Guerre mondiale ; joué dans son premier film avant l'âge de trente ans ; marcha avec Martin Luther King ; joué au tennis avec Rod Laver ; discuté de politique avec Dwight Macdonald sur la pelouse de la Maison Blanche ; voyagé en Asie du Sud-Est au plus fort de la guerre du Vietnam ; servi comme émissaire en Chine et à Berlin-Est ; a eu une carrière d'acteur qui a duré plus de cinq décennies combinée avec un mariage qui a duré plus de six décennies ; et a gagné un Oscar. " J'ai du travail, la santé, le bonheur, l'amour ", notait Heston dans son journal en 1965. " Que vouloir de plus ? "

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    Le talent. C'était le seul cadeau refusé à Heston, et c'était le cadeau dont il avait le plus envie. Ce que la carrière d'Heston révèle avant la caméra, c'est que la capacité d'agir - au moins de la façon qu'Heston aurait voulu si désespérément - ne peut pas être atteinte par le seul travail dur. Si c'était le cas, Heston aurait été le plus grand acteur de sa génération. Il avait toutes les qualités évidemment essentielles : un beau visage; un corps athlétique ; une voix riche et résonnante ; l'intelligence ; disciplines  et l'ambition. Il a également travaillé sans relâche, au mépris de ses limites. Quand Stephen Macht, qui a joué sur scène avec Heston dans A Man for all seasons, lui a demandé pourquoi il continuait à venir soir après soir, en dépit du fait que les critiques l'ont  flagellé si impitoyablement, Heston a souri. " Parce que, " dit-il, " un jour, je ferai bien les choses ".

     

    (1) Gloria Steinem : journaliste et féministe des années 1970. Elle a fait pression pour une législation visant à assurer l'égalité des races et des sexes et a contribué à forger les plates-formes démocratiques de plusieurs élections en tant que membre du Comité national démocrate.

    (2) Barbara Walters : autre journaliste et animatrice de télévision de la même période.

     

     

  • L'INTERVIEW CENSUREE DE CHUCK : " MES PERSONNAGES ET MOI " (deuxième partie)

    Suite de l'interview de Charlton Heston, par Keith Howes. 

    Dans cette partie de l'interview, Charlton Heston parle de sa proximité avec les personnages qu'il a interprétés. KEITH HOWES.JPG

    (Keith Howes)

    SECONDA PARTE : Io e i miei personaggi"

     

    .. Il  mio personaggio (in questo film) è un poliziotto alienato che non prova empatia per quello che succede intorno a lui. Entrando in una chiesa, vede il corpo di una giovane donna morta. Al suo polso è legato con una corda un bambino in lacrime. Il mio personaggio non si da affatto pena; si accerta che la donna sia davvero morta, prende in braccio il bambino come un fagotto e con indifferenza lo consegna alla prima persona che incontra in chiesa, senza nessuna reazione emotiva. E’ un effetto collaterale rispetto alla situazione da me descritta. Il poliziotto tratta l’evento come un qualunque caso di ordine pubblico, come la rimozione di un oggetto che ingombra la pulizia stradale.

    La capacità di mostrare sensibilità verso altri esseri umani è possibile colo se il numero di individui rimane limitato. SE siamo, ad esempio, solo noi due a sedere su un divano, io mi preoccuperò del suo benessere: chiuderò la porta se c’è freddo, le offro qualcosa da bere.. Ma se a sedere sullo stesso divano siamo in 25 allora ognuno si preoccuperà di se stesso e  di assicurarsi il suo spazio vitale…

    (Uno dei due giornalisti rievoca per Heston alcuni dei suoi personaggi in film come “The Naked Jungle”, “Master of the Islands” o “Diamond Head”)

    …Certo sono questi i personaggi duri ed insensibili che mia moglie chiama “gli eroi carogna” e che a volte ritornano nella mia carriera di attore. Ma numericamente sono di più tra i personaggi che ho interpretato  quelli che risentono fortemente di un senso di responsabilità, come Il Cid, o Thomas Jefferson o Thomas Moore. Naturalmente un attore può interpretare solo i personaggi che gli vengono offerti. A differenza di un pittore o di un altro artista, un attore deve approfittare delle occasioni che gli si presentano cioè dei film che qualcuno è disposto a finanziare. Effettivamente due terzi dei personaggi che ho interpretato dotati di un considerevole senso di responsabilità, come appunto Sir Thomas Moore o Il Cid, secondo la mia opinione uno degli uomini nella Storia e nella Leggenda medievale. Ma oggi la responsabilità individuale appare in declino mentre vive nella maggioranza dei personaggi da me interpretati. Anche nel personaggio di Will Penny, un povero cow boy analfabeta che pure sente il dovere di trovare riparo alle mandrie durante una tempesta di neve. Per due volte ho interpretato il personaggio di Antonio nel “Giulio Cesare” di Shakespeare. Ed anche in quel testo Shakespeariano Antonio sente il peso della responsabilità verso i suoi concittadini dopo la morte di Cesare.

    In “Antonio e Cleopatra” la questione è certamente diversa. Guidato dalla passione Antonio perde il senso di responsabilità, come dice mia moglie, questi personaggi con forte senso di responsabilità, sono uomini duri e severi. Ma se la passione interferisce, come per Antonio. E Antonio che pure avrebbe tutti i numeri per diventare uno dei grandi imperatori, come Cesare o Augusto o Adriano cede al piacere fisico. Ma la tragica colpa del personaggio di Antonio è l’incapacità di resistere alla passione e tuttavia rimane uno dei grandi personaggi della tragedia Shakespeariana. Uno di quei grandi personaggi con cui ogni attore dovrebbe cimentarsi. Per quattro volte, due in Televisione una in cinema e una sulla scena, ho interpretato Antonio. E i personaggi di Shakespeare sono sempre più grandi della normalità e ben potrebbero gli attori americani avvicinarsi scegliendo tra i personaggi di Shakespeare quelli che meglio si adattano a loro. Nel mio caso Antonio e mai penserei di interpretare Amleto che non si adatta affatto alla mia personalità, come invece nel caso di Macbeth, che sento a me più vicino….

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    «... Mon personnage (dans ce film) est un policier extraterrestre qui ne ressent pas d'empathie pour ce qui se passe autour de lui. Entrant dans une église, il voit le corps d'une jeune femme morte. Au bout d'une corde attachée à son poignet, il y a un enfant en larmes. Mon personnage n'éprouve pas de peine ; il se rend compte que la femme est vraiment morte, il prend l'enfant comme un paquet et le remet indifféremment à la première personne qu'il rencontre dans l'église, sans aucune réaction émotionnelle. C'est un effet secondaire à la situation que j'ai décrite. Le policier traite l'événement comme un cas d'ordre public, tel que l'enlèvement d'un objet qui entrave le nettoyage de la route.

     La capacité de montrer sa sensibilité à d'autres êtres humains est possible si le nombre d'individus reste limité . Si nous sommes, par exemple, seuls assis sur un canapé, je m'inquiéterai de ton bien-être : je fermerai la porte s'il fait froid, je t'offrirai quelque chose à boire ...Mais si nous sommes 25 assis sur le même divan,  alors chacun se souciera de lui-même et sécurisera son espace de vie ...»

    (L'un des deux journalistes se souvient d'Heston pour certains de ses personnages dans des films tels que "The Naked Jungle", "Maître des îles" ou "Diamond Head").

    « ... Ce sont certainement des personnages durs et insensibles que ma femme appelle "héros salauds " et qui reviennent parfois dans ma carrière d'acteur. Mais numériquement, je suis plus près des personnages que j'ai interprétés, ceux qui sont fortement imprégnés par un sens des responsabilités, tels que Le Cid, ou Thomas Jefferson ou Thomas Moore. Bien sûr, un acteur ne peut interpréter que les caractères qui lui sont offerts. Contrairement à un peintre ou un autre artiste, un acteur doit profiter des opportunités qui s'offrent à lui,  pour les films que quelqu'un est prêt à financer. En fait, les deux tiers des personnages que j'ai joués avaient un sens considérable des responsabilités, tels que Sir Thomas Moore ou Le Cid, ce sont des hommes de l'Histoire et de la légende médiévale. Mais aujourd'hui, la responsabilité individuelle semble être sur le déclin alors qu'elle était vive dans la majorité des personnages que j'ai interprétés. Ainsi,  même le personnage de Will Penny, un pauvre cow-boy analphabète, ressent le besoin de trouver un abri pour les troupeaux pendant une tempête de neige.

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     Deux fois j'ai joué le personnage d'Antoine dans " JULES CESAR " de Shakespeare. Et même dans ce texte de Shakespeare, Antoine ressent le poids de la responsabilité envers ses concitoyens après la mort de César. Dans "Antoine et Cléopâtre", la question est certainement différente. Guidé par la passion, Antoine perd le sens des responsabilités — comme le dit ma femme — ces personnages avec un fort sens des responsabilités sont des hommes durs et sévères. Mais si la passion interfère, comme pour Antoine qui avait toutes les capacités pour devenir l'un des grands empereurs, tels que César ou Auguste ou Adrien, il s'abandonne au plaisir physique, mais l'erreur tragique du personnage d'Antoine est l'incapacité de résister à la passion et pourtant il reste l'un des grands personnages de la tragédie shakespearienne. Un de ces grands personnages que chaque acteur devrait essayer d'interpréter. Quatre fois  j'ai joué Antoine, deux à la télévision, une au cinéma et l'autre sur la scène. Et les personnages de Shakespeare sont plus grands que nature, les acteurs américains pourraient s'en rapprocher en choisissant les personnages de Shakespeare qui leur conviennent le mieux. Dans mon cas c'est Antoine et,  je ne penserai jamais à jouer Hamlet qui ne correspond pas du tout à ma personnalité, alors que dans le cas de Macbeth, je le sens plus proche de moi ...»

     

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    A SUIVRE...

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    AUTEURE : Maria Russo Dixon

  • L'INTERVIEW CENSUREE DE CHUCK : LA SURPOPULATION (1ère partie)

    Maria a décidé de traduire l'interview "censurée " de Charlton Heston. 

    Vous pouvez retrouver les videos sur la présentation et l'interview par Keith Howes en 1972,  sur YOU TUBE et sur le blog. Je les ai présentées récemment sous le titre " préambule de Maria ".

    A la lecture de cette première partie, je suis d'ores et déjà dans l'interrogation sur la complexité de Charlton Heston et sur les choix qui seront les siens une vingtaine d'années plus tard.

    Mais il est trop tôt pour moi d'en parler, j'attends la suite de la traduction de Maria que je remercie une fois de plus pour le magnifique travail qu'elle effectue pour le blog afin de  porter à notre connaissance des éléments de la vie de Chuck que nous ne connaissons pas forcément. 

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    (Keith Howes)

    « Il m'est arrivé de rencontrer les professeurs de mon fils Fraser, en particulier son professeur de littérature anglaise moderne,  à propos de William Shakespeare. J'ai trouvé que les étudiants de la classe semblaient particulièrement nombreux. L'enseignant a répondu que 21 élèves par classe est un nombre standard dans l'école d'aujourd'hui. En fait, il éprouvait un certain soulagement après avoir enseigné à l'école publique l'année précédente, précisément à l'école publique de Beverly Hills, où certains étudiants devant l'affluence, devaient se contenter de se tenir debout. De plus, l'école, l'une des meilleures, a été contrainte de suivre un horaire en deux équipes pour satisfaire toutes les demandes. Il n'est donc pas surprenant que les étudiants d'aujourd'hui, compte tenu du système scolaire, finissent leurs études avec une préparation très insuffisante et sans trop de connaissances.

    Les écoles sont équipées d'outils technologiques, mais cependant, au lieu d'aider les élèves ils finissent seulement par recouvrir les problèmes à cause d'une préparation insuffisante au lieu de les résoudre. C'est comme si un homme qui a la varicelle couvrait son visage d'une couche de fond de teint. Les défauts de la peau sont cachés, mais la maladie n'est pas guérie. Le vrai problème est la surpopulation, le problème étant ignoré par la plupart et pour lesquels les documentaires télévisés ou les programmes illustratifs ne sont pas repris.

     Il y a quelques temps, un film comme «Growth Population Zero» (en français " population zéro "  a essayé de traiter ce sujet, mais ce film avec Oliver Reed n'a pas atteint son but  (à cette époque Heston est sur le point de tourner Soylent Green - ndt) Un film comme celui avec Oliver Reed a fini par être contreproductif. Les personnages semblent parler mutuellement sur le sujet, bien habillés et insérés dans des cadres plus que décents, mais ils ne véhiculent pas le vrai problème d'un monde surpeuplé.  En effet, à discuter les uns avec les autres ils ne se rendent pas compte qu'ils sont eux aussi une composante de cette surpopulation, n'entrant pas en contact avec le désespoir de ceux qui vivent en dehors de leur monde.

     Contrairement à " Growth Population Zero ", nous étions déterminés à faire un film montrant le désespoir d'un monde surpeuplé dans lequel les personnages n'étaient pas conscients de leurs conditions de vie misérables. La caractéristique de l'être humain est son adaptabilité extraordinaire.

    Paradoxalement, par exemple, les enfants nés dans les camps de concentration ne ressentaient pas l'instinct de se plaindre de leur condition, habitués à leur misérable soupe de racines avec quelques morceaux de pomme de terre. Pour eux, la vie quotidienne est celle de tous les jours. Nos personnages acceptent donc la terrible surpopulation d'une métropole comme une vie normale dont ils ne se plaignent pas. 

    Il y a ceux qui vivent en traînant derrière eux leurs peu de marchandises dans une boîte ou un conteneur, qui s'adaptent en vivant dans de vieilles voitures abandonnées le long des trottoirs,  sur le toit desquelles ils ont ajouté un petit tuyau pour évacuer la fumée de leurs misérables fourneaux. 

    Thorn, mon personnage, ne se révolte pas contre la réalité dans laquelle il se trouve, mais il est plus chanceux que les autres. Il a le privilège de partager un petit appartement avec un vieil homme, Sol, qui se souvient encore du monde d'autrefois. Il en parle continuellement. Alors que notre protagoniste est obligé de se raser le matin avec une lame usagée qu'il est forcé de cacher immédiatement dans son portefeuille et,  recueillir dans une tasse les gouttes d'eau qui tombent pour ne pas sortir immédiatement de la maison pour se ravitailler en eau. Pendant ce temps, le vieil homme continue à décrire un monde dans lequel il pouvait acheter de la viande fraîche, de la salade et même des œufs. Le protagoniste ne prête pas beaucoup d'attention à ces commérages et continue à vivre une vie absurde,  heureux avec le privilège d'un mini-appartement. Le mot "salade" ne lui dit rien. Alors, quand son supérieur du poste de police du quartier où il travaille lui demande de décrire la fille qu'il a interrogée pour un délit contre l'élite de ce monde misérable, Thorn dit qu'elle a deux seins comme des pamplemousses. Son collègue répond que cette comparaison ne tient pas, il n'a jamais vu de pamplemousses. Ironiquement, Thorn dit que l'autre homme n'a pas vu la fille.

    Dans une situation de surpeuplement, en fait, les gens ne posent pas le problème de la réalité dans laquelle ils vivent. Aussi parce que la vie de chacun est limitée à l'extrême, ils cherchent juste un endroit pour dormir, une ration misérable d'eau et une forme de nourriture qui permet la survie, le soja dans ses différentes couleurs. Ils n'ont pas besoin d'argent parce qu'il n'y a pas de produits à acheter si ce n'est des ustensiles en plastique malsain qui regorgent sur le marché comme celui installé sur le plateau.

    Mon personnage est un policier désespérément surchargé de travail et pourtant il essaie de faire de son mieux pour donner ce petit sens des responsabilités qu'il a toujours eu. Son patron considère que l'enquête est une perte de temps, bien qu'il ait un suspect possible qu'il a essayé d'interroger pendant deux jours. Mais son patron répétera combien ses efforts sont inutiles. Durant ces deux jours dans la ville, il y a eu 3470 autres affaires d'homicides qui seront toutes classées sans suite, comme Thorn s'apprête à le faire pour l'affaire sur laquelle il enquête.

    En effet, on peut dire que les caractéristiques d'un surpeuplement général sont déjà présentes, seules les personnes ne semblent pas les voir.

    J'ai parlé à certains des flics d'aujourd'hui, qui se plaignent des mêmes problèmes de surmenage et de superficialité dans le travail. Ils ne peuvent  toujours pas arriver au bout de nombreuses enquêtes par manque de temps.

    La conséquence d'une société surpeuplée comme celle qui se développe aujourd'hui est le déclenchement de cas de violence irrationnelle. Un scientifique a mené une expérience intéressante sur une communauté de souris. Tant que le nombre d'animaux n'excède pas 100, la coexistence est pacifique, mais si le nombre augmente de 3 ou 4 fois, disons 300 ou 400 animaux dans le même espace, il y a une augmentation générale de l'intolérance chez les individus, l'agressivité réciproque pour atteindre des cas de meurtre, de cannibalisme, de psychose, d'anxiété et de comportement sexuel irrégulier. Cela a été démontré scientifiquement. Aujourd'hui, nous répandons une forme d'aliénation et d'insensibilité générale parmi les gens.

    Récemment, un professeur de l'Université de Columbia a été tué dans la rue par un groupe criminel devant les passants qui n'ont rien fait pour les arrêter. Ou le cas récent de Kitty Genovese. Une fille tuée dans  la cour de sa maison sur laquelle donnaient beaucoup de fenêtres. La femme a essayé pendant 20 minutes d'échapper à son tueur armé d'un couteau, se cachant derrière les voitures garées dans la cour. Ses colocataires ont vu la scène sans même penser à l'aider, restant  immobiles aux fenêtres. C'est un cas typique d'aliénation chez les humains, une démonstration d'indifférence totale .... >>

    AUTEURE : Maria Russo-Dixon

     

    Intervista del 1972 Prima parte "La sovrappopolazione"

    <<  Mi è capitato di avere un incontro con il docente di letteratura inglese moderna di mio figlio Fraser, in particolare suo docente relativamente a William Shakespeare. Ho rilevato che gli studenti della classe sembravano particolarmente numerosi. L’insegnante mi ha risposto che 21 studenti per classe sono un numero standard nella scuola di oggi. E anzi lui provava sollievo dopo essere stato nell’anno precedente nella scuola pubblica, precisamente nel Beverly Hills Public School, dove alcuni alunni dovevano contentarsi di posti in piedi, tale l’affollamento. Inoltre la scuola, una delle migliori, era costretta a seguire un orario di doppi turni per accontentare tutte le richieste. Non c’è quindi da meravigliarsi se gli studenti di oggi, dato il sistema scolastico, finiscano gli anni di scuola con una preparazione davvero scarsa e senza sapere molto. Le scuole sono dotare di strumenti tecnologici, che però, invece di aiutare gli studenti finiscono solo col coprire il problema della scarsa preparazione, invece di risolverlo. E’ come se un malato di varicella si coprisse il viso con uno strato di fondotinta. Si nascondono i difetti della pelle, ma non si guarisce la malattia. Il problema vero è la sovrappopolazione, problema ignorato dai più, e per il quale documentari televisivi o programmi illustrativi non vengono recepiti. Qualche anno fa un film come “Growth Population Zero” cercò di trattare questo argomento, ma quel film con Oliver Reed non raggiunse l’obiettivo ( in quel momento  Heston sta finendo di girare invece Soylent Green – n.d.t.) Un film come quello con Oliver Reed finisce con l’essere controproducente. I personaggi sembra predichino l’un l’altro sull’argomento, ben vestiti e inseriti in ambienti più che decorosi non trasmettono quello che è il problema vero di un mondo sovraffollato. Anzi, chiacchierando tra di loro non realizzano che anche loro sono una componente di quel sovraffollamento, non venendo in contatto con la disperazione di coloro che vivono al di fuori del loro mondo.

    Al contrario di Growth Population Zero noi eravamo determinati a fare un film che mostrasse sullo schermo la disperazione di un mondo sovrappopolato in cui però i personaggi non fossero consapevoli delle loro disgraziate condizioni di vita.

    La caratteristica dell’essere umano è la sua straordinaria adattabilità. Per paradosso ad esempio i bambini che si trovarono a nascere nei campi di concentramento non provavano l’istinto di lamentarsi per le loro condizioni, abituati al loro misero piatto di zuppa di radici con qualche isolato pezzo di patata. Per loro la quotidianità della vita è quella, ogni giorno. E così i nostri personaggi accettano il terribile sovraffollamento di una metropoli come una quotidianità di cui non si lamentano. C’è chi vive trascinando a mano dietro di sé i loro pochi beni in uno scatolo o un contenitore, chi si adatta a vivere in vecchie macchine abbandonate lungo i marciapiedi a cui hanno aggiunto sul tetto un piccolo tubo per eliminare i fumi dei loro miseri fornelli. Thorn, il mio personaggio, non si ribella contro la realtà in cui si trova a vivere, anzi è più fortunato di altri. Ha il privilegio di condividere un piccolissimo appartamento  con un vecchietto, Sol, che ricorda ancora il mondo di una volta. Ne parla continuamente. Mentre il nostro protagonista è costretto a radersi la mattina con una lametta usata che è costretto a nascondere subito nel portafogli perché non gli venga portata via e a raccogliere in una tazza le gocce d’acqua residue per non dover immediatamente uscire di casa per rifornirsi di altra acqua.

    Intanto il vecchietto continua a descrivere un mondo in cui si poteva acquistare carne fresca, insalata e perfino qualche uovo. Il protagonista non presta molta attenzione a quelle chiacchiere e continua a vivere una vita assurda contento del privilegio di un miniappartamento. La parola “insalata” a lui non dice niente. Non l’ha mai vista, anche se sa di cosa si tratta. Così quando il suo superiore nel distretto di polizia dove lavora gli chiede di descrivere la ragazza che sta interrogando a proposito di un delitto avvenuto tra l’elite di quel mondo misero, Thorn dice che ha due seni come pompelmi. Il suo collega ribatte che quel paragone non regge, lui non ha mai visto dei pompelmi. Ironico Thorn dice che l’altro però non ha visto la ragazza.

    In una situazione di sovraffollamento in effetti la gente non si pone il problema della realtà in cui vive. Anche perché la vita di tutti è limitata all’estremo, a loro basta la ricerca di un posto dove dormire, di una misera razione d’acqua e di una forma di cibo che permetta la sopravvivenza, il soylent nei suoi vari colori, né ha bisogno di danaro perché non ci sono merci da acquistare se non disastrati utensili di plastica di cui sono pieni i mercatini, come quello messo in piedi sul set.

    Il mio personaggio è un poliziotto disperatamente sovraffaticato dal superlavoro, e che tuttavia cerca di fare il meglio che può dato quel po’ di senso di responsabilità che ancora ha. Il suo boss considera l’indagine  una perdita di tempo, anche se ha un possibile indiziato che da due giorni sta cercando di interrogare. Ma il suo capo gli ripete quanto inutile sia il suo sforzo. In quei due giorni in città ci sono stati 3470 altri casi di omicidio che verranno tutti archiviati, come il caso sul quale Thorn si sta dando da fare.

    In effetti si può dire che le caratteristiche di un sovraffollamento generale sono già presenti, solo la gente non sembra vederle.

    Ho parlato con dei poliziotti di oggi, che lamentano gli stessi problemi di sovraffaticamento e di superficialità nel lavoro. Non si riesce a venire anche oggi a capo di molte indagini per mancanza di tempo.

    Conseguenza di una società sovrappopolata come quella che sta crescendo oggi è lo scoppio di casi di violenza irrazionale . Uno scienziato ha condotto un esperimento interessante su una comunità di topi. Sino a che il numero di bestiole   non supera i 100esemplari, la convivenza è pacifica , ma se il numero aumenta di 3 o 4 volte, diciamo 300 o 400 animali costretti nello stesso spazio si verifica un aumento generale dell’intolleranza tra individui, aumenta la reciproca aggressività sino a raggiungere casi di uccisioni, cannibalismo, psicosi, ansia e irregolare comportamento sessuale. Questo è stato scientificamente dimostrato.

    Oggi si sta appunto spargendo una forma di alienazione e di insensibilità generalizzate tra le persone. Recente il caso di un professore della Columbia University, ucciso in strada da un gruppo criminale davanti agli occhi dei passanti e senza che questi facessero niente per fermarli. O il recente caso di Kitty Genovese. Una ragazza uccisa all’interno del cortile di casa, cortile sul quale si aprivano molte finestre. La donna ha cercato per 20 minuti di sottrarsi al suo assassino armato di coltello, nascondendosi dietro le automobili parcheggiate nel cortile. I suoi coinquilini hanno assistito alla scena senza nemmeno pensare di prestare aiuto, rimanendo immobili alle finestre. Questo è un caso tipico di alienazione tra gli esseri umani, una dimostrazione di totale indifferenza….>>

    Maria Russo

    CHARLTON HESTON AT A CONGRESSIONAL HEARING IN 1961.jpg

     

     

    A SUIVRE...